Dopo aver girovagato inutilmente nel grande atrio degli arrivi “dell’aeroporto più grande del mondo”, Francesco Paolo Mazzei non si meravigliò più di tanto del fatto che il suo ospite non era venuto a prenderlo. Lo aveva immaginato, doveva averlo immaginato, dopo l’ultimo scambio di posta elettronica. “Domani ti esoneriamo da ogni responsabilità, stai tranquillo…” gli aveva detto, e però era ancora tanto fesso da credere di trovare qualcuno ad aspettarlo agli arrivi internazionali?

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Paolo aveva 59 anni, più o meno, scopava ancora, quello sì, e a Hong Kong si comprava treni di scatole di “medicina magica” per far tirare il cazzo, senza necessariamente subire l’umiliazione di dover chiedere una maledetta ricetta dal ruffiano in camice che capitava essere il suo medico di famiglia. Aveva 59 anni, più o meno, e scopava ancora, sì, ma scopava chi? Giusto quella sguattera di Teresa Rolfi, avvocatessa di Soriano al Cimino, in provincia di Viterbo, la quale, dopo essersi fatta venire nel sedere una sola volta, lo faceva lavare con tre passaggi di schiuma di sapone sotto la doccia e gli faceva anche un bocchino semi-professionale. Aveva frequentato la Bocchini-Bocconi, Teresa, ed era stata proprio lei a fargli fare il bambino, il figlio di puttana, il terzo figlio, di quel papà quasi sessantenne. Doveva pure farsi un’assicurazione sulla vita, anche lei, no?

In un’altra seduta di sesso anale totale, Teresa se lo era lasciato infilare e spingere nel punto più buio e profondo dell’ampolla rettale, lo aveva fatto venire, praticamente facendogli un pompino con il culo, perché, messa a pecorina, avanzava le chiappe aperte verso di lui, le quali, giunte a mordergli i peli del pube, si chiudevano, si restringevano, e con le chiappe strette e il buco del culo stretto, gli tirava il cazzo in senso contrario. Non poteva non venire. Venuto, e anche a causa della canna che quella bagascia gli aveva fatto fumare prima di farsi inculare, si era girato sul fianco sinistro, per soffrire meno i bruciori di stomaco, e si era addormentato. Presto aveva iniziato a russare. Allora lei, non potendo dormire per via del suo russare, gli aveva sfilato il preservativo ed aveva iniziato a succhiargli il cazzo, subito indurito, pure prima che Paolo avesse ripreso conoscenza, amaro del sapore della plastica, ma misto di sborra fredda.

Teresa era una donna difficile da sopportare, quando iniziava a parlare seriamente. Ma il cazzo lo sapeva trattare, quello sì, altro che, lo sapeva far zampillare sia con la bocca che con il culo, e non si lamentava se Paolo non la scopava nella figa, dopo, perché era stanco o perché doveva tornare dalla moglie. Quando si trattava di farsi dare nel buco del culo, Teresa dimostrava tutta l’intelligenza di una vera donna, tutta l’intelligenza che non mostrava mai nelle relazioni di lavoro. E però, avendo intuito che forse sarebbe stata cacciata meritatamente a calci-in-culo, dalla multinazionale americana per la quale lavorava, giustamente, aveva anche pensato di farsi un’assicurazione sulla vita che sarebbe venuta dopo. Ecco perché se l’era fatto venire in bocca ed era corsa subito al cesso per fingere di lavarsi i denti. Quella sborra, invece di finire nel lavandino, se l’era lasciata cadere in mano, mista a saliva, e se l’era infilata direttamente nel cunicolo vaginale, spingendo su in verticale con foga, e anche con una certa eccitazione, una alla volta, tutte le dita contaminate di sborra calda e di saliva.

E così gli aveva dipoi sfornato il suo terzo figlio di puttana – i primi due li aveva fatti fare a sua moglie ma con quella non scopava più da un secolo e passa – che, nel tempo della vicenda che trattiamo qui, aveva solo 3 anni.

Teresa pensava al futuro ed aveva accalappiato il pollo giusto. Francesco Paolo Mazzei, che faceva affari d’oro vendendo accessori per l’abbigliamento che comprava dai produttori di cianfrusaglie gialli della Cina comunista e senza pagare una lira d’imposte ai ruffiani dell’ufficio dell’erario italiano.

Era forse il caso di lasciare tutto a quella puttanazza di sua moglie? Certo che no. E però come si fa a fidarsi delle promesse di un uomo? Meglio farsi ingravidare, fingendo che si è trattato di un incidente.

Francesco Paolo Mazzei si faceva consigliare sempre, non faceva un passo senza farsi consigliare, e però lei era stata più furba ed aveva simulato l’incidente. Se si fosse fatto consigliare anche su quello, sul fatto di mettere incinta una sguattera di Soriano al Cimino, e di metterla incinta facendosi fare un pompino, certamente il suo consigliere ruffiano, che era anche commercialista ed era pure suo cognato, si sarebbe raccomandato con lui di usare il preservativo. E infatti lui aveva usato il preservativo, sia quando l’aveva inculata che quando l’aveva scopata, e allora?

“beh, sai – gli aveva detto tempo prima il suo amico medico, quello con il quale faceva le batterie di birre e di Puttane a Metro Manila, anche se Paolo era certo che i medici erano ignoranti e deficienti, quasi sempre – il preservativo non garantisce al cento per cento…

Un momento, “e perché? Perché si rompe?”

Se si rompe lo capiamo tutti quello che può capitare, non serve un ruffiano in camice a venircelo a dire.

“E allora cosa?”

“..filtra…” – Hai capito? Il medico ti dice che qualcosa “filtra” attraverso la plastica. E tu ti fai fare le lastre da un cretino così, solo perché ha capelli e camice bianco?

Lui sì. Lui, Francesco Paolo Mazzei, non faceva un passo senza farsi prima consigliare da qualcuno. Era capace di spingersi fino in Asia, di  venirsene a Hong Kong, nonostante il suo inglese fosse pessimo e che fosse anche mezzo sordo, e però, messo davanti all’incredibile treno di puttane che la notte si fermava a Wan Chai, non si era mai deciso a scoparne neppure una.

Con il cazzo gonfio, che gli faceva male sotto i pantaloni, tanto che era duro, mentre ripensava alla notte precedente, spesa facendosi fare il bocchino dalla sguattera di San Martino al Cimino, Francesco Paolo Mazzei, assieme al suo secondo figlio e a suo cognato ruffiano-commercialista, preso atto del fatto che nessuno era venuto a prenderli, iniziò a gongolarsi verso il banco turistico dei visti e delle prenotazioni, perché in Hong Kong era tutto facilissimo, non serviva la guida; se avevi un poco d’occhio e di memoria, ti ricordavi pure che il visto per andare in Cina comunista te lo potevi fare proprio in aeroporto, e proprio lì dove si gongolavano loro, agli arrivi internazionali. Te lo facevi fare subito e poi eri tu a decidere se e quando volevi andarci, in mezzo ai pazzi della Cina comunista. Nessuno ti avrebbe impedito di restare ad Hong Kong, se solo lo avessi voluto, ma chi era tanto cretino da rimanere nel buco del culo del mondo per un tempo superiore a quello necessario a fare i visti per la Cina e ad andare in banca?

Lui no, lui aveva del lavoro da fare in Cina comunista, essendo con due parenti, il suo secondo figlio di puttana e il suo commercialista ruffiano, che poi era suo cognato, non poteva scopare, non poteva far vedere a loro che andava a puttane, e poi aveva veramente paura, lui, essendo montanaro e ignorante, di prendersi l’AIDS, come se quella sindrome fosse stata trasmissibile sessualmente. Ridicolo.

In un modo o nell’altro, senza guide e senza i soliti aiuti, i tre riuscirono a giungere al vicinissimo ed ovvio banco dei visti, presso il quale dovettero rimediare la prenotazione alberghiera per le notti tristi (guardare ma non toccare) che avrebbero passato a Hong Kong e il visto per la Cina comunista. Da quel momento in poi, di tutto ciò che fecero non si può sapere la sequenza precisa.

Se vogliamo prendere per buono il testo della denuncia querela che Francesco Paolo Mazzei fece alla stazione di polizia di Wan Chai (guarda il caso proprio la stazione di polizia collocata nella zona delle puttane e dei locali notturni per occidentali) appena arrivati, preso atto che nessuno era venuto a prelevarli (ed a guidarli), i tre andarono subito alla banca, la Hang Seng, alla filiale di Tsim Sha Tsui, quella presso la quale avevano aperto il conto assieme al loro consulente italiano di Hong Kong, l’avvocato Luca Marognoli, che mangiava la pizza con le cipolle e i fagioli, un altro degenerato che non riusciva mai a dimostrare costanza con la dieta.

Alla banca, Francesco Paolo rimase “scioccato”, così era scritto nella sua denuncia querela, e così era pure scritto nella memoria dell’atto civile che interveniva quasi contestualmente – certificata in agosto da un oscuro notaio napoletano, registrato però a Milano, e con il timbro messo sbagliato, come sempre succede a chi è disordinato, frettoloso e raffazzonato – e “scioccato” è il termine che ricorreva anche nell’atto formale del procedimento civile che Francesco Paolo aveva istituito contro il Marognoli, nel vano tentativo di recuperare il saldo del conto corrente, senza troppe questioni.

“Sono rimasto scioccato” – così aveva detto, così aveva scritto e così aveva sottoscritto e, tanto scrivendo, si era convinto che il suo personale “shock” sarebbe stato una prova sufficiente per inchiodare il suo nuovo nemico e recuperare il “maltolto”.  Non aveva capito un cazzo. Il procedimento gli costò molto di più di quanto gli sarebbe costato il lasciar perdere, o seguire i consigli onesti del Marognoli che era in perfetta buonafede e che voleva aiutarlo, senza però doverci rimettere lui di persona. Non riuscì ad inchiodare proprio nessuno e dovette imparare a sue spese che gli avvocati del Regno Unito, abilitati a dire le loro scemenze in Hong Kong SAR, possono essere, come sono, anche più stupidi, più avidi e più ignoranti degli avvocati italiani (il che potrebbe sembrare impossibile per chi viaggia poco).

Francesco Paolo era ignorante, sì, la sua laurea in legge non era affatto sufficiente a dimostrare il contrario, anzi, e però, oltre ad agire in base al suo gusto, doveva anche farsi consigliare. Era come una dipendenza tossica, la sua, non riusciva a vivere senza il consiglio di qualcun altro. E però, quando la fortuna è l’ultima risorsa, allora Francesco Paolo Mazzei, quella notte, fu fortunato, perché suo figlio e suo cognato, essendosi rovinati con le pizze alle cipolle, cotte maledettamente male dai loro conterranei imbecilli che lavoravano a Hong Kong, erano stati costretti sul cesso tutta la notte, e lui aveva avuto la serata libera, cioè, aveva potuto uscire senza di loro, con il vantaggio di conoscere bene, grazie alle precedenti uscite con il Marognoli, i tre locali di Wan Chai con le puttane che maggiormente lo avevano interessato nei mesi passati, quando non aveva potuto fare nulla per via della zavorra di suo figlio. Oltre a ciò, l’albergo lo avevano preso proprio a Wan Chai, e non era affatto stato un caso, le farmacie notturne che vendevano il succedaneo del Viagra si trovavano proprio a due passi, e sempre a Wan Chai, insomma, se non fosse stato per i loro problemi con la banca, quella sarebbe stata una serata bellissima.

Fremente di sdegno per la questione della banca, Francesco Paolo Mazzei decise di dimenticare tutto il suo astio per almeno il resto di quella notte; s’incamminò per la via buia sulla quale dava l’atrio dell’albergo, buia nonostante tutte le insegne luminose e accese di quei locali per degenerati alcolizzati, sapendo bene che avrebbe dovuto girare a destra subito dopo aver passato l’Amazonia, il bar delle puttane dove “suonavano la musica dal vivo”, fare cinquanta metri ed infilarsi, ancora a destra, per una scala assai dubbia verso un sotterraneo semi buio e profondo, e pure lì “suonavano la musica dal vivo”, per andare a vedere se riusciva a trovare Lisa, la puttana laotiana che per, l’equivalente locale di centocinquanta Euro, aveva fatto venire più volte il Marognoli, o almeno così gli aveva raccontato lui, una volta con il culo, senza preservativo, la prima botta, una seconda volta con la bocca, in bocca, anche qui senza preservativo, e dopo, solo alla terza ora, lo aveva fatto venire con la figa e neppure allora Marognoli aveva usato il preservativo. Con lui faceva così perché lo conosceva da un po’ di tempo. Avrebbe fatto lo stesso anche per Francesco Paolo Mazzei? L’unico modo per saperlo era quello di provarla. “Nessuna donna può essere giudicata o criticata senza che la si sia provata”, così ripeteva sempre Marognoli, al tempo in cui si comportavano da amici. Girato a destra, fece i cinquanta metri, verso le inculate non pianificate ma ardentemente sospirate, e…

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Pubblicato da International University of Sodomy

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